Origini

L’idea delle Comunità evolutive è nata dall’integrazione di tante idee con cui sono entrato in contatto e di esperienze che ho avuto l’opportunità di vivere nel corso degli ultimi 25 anni.

Tra queste possiamo elencare i Gruppi di incontro ed i metodi del Counseling di Carl Rogers, i gruppi delle Città di Transizione, i metodi di facilitazione, la comunicazione empatica, i dialoghi di Bohm.

Uno dei miei punti di riferimento è Carl Rogers, uno dei maggiori esponenti della Psicologia Umanistica, che è stato sicuramente uno dei maestri nell’arte delle relazioni e che ha lasciato un’eredità importantissima in questo campo.

Nel suo libro “I gruppi di incontro” descrive quali sono i principi che favoriscono la crescita personale all’interno di una esperienza di gruppo.  Il ruolo del facilitatore, almeno in una fase iniziale, è fondamentale per creare un “clima” nel quale la persona si senta ascoltata, accettata per quello che è, compresa profondamente. 

Le città di transizione (Transition Towns) sono un esperimento di innovazione sociale nato in Inghilterra grazie all’iniziativa di Rob Hopkins e di un gruppo di coraggiosi facilitatori.  Il punto di partenza risiede nella constatazione dell’insostenibilità ambientale dello stile di vita “consumista” dei paesi occidentali.
La possibile soluzione ai problemi globali che ci troviamo ad affrontare viene individuata nella trasformazione della comunità locale, da insieme di persone divise, passive o conflittuali a un’insieme integrato di persone che collaborano al cambiamento grazie alla loro assertività ed alla capacità di partecipare attivamente ai processi sociali.

Nell’ambito delle città di transizione uno dei modelli di riferimento è la modalità dell’Open Space Technology (OST), uno strumento di facilitazione che ha l’obiettivo di utilizzare appieno l’intelligenza collettiva applicando i principi della libertà e della responsabilità personale.

E’ proprio la necessità di un cambiamento nel modo in cui collaboriamo per il raggiungimento di scopi evolutivi che ha fatto nascere una quantità incredibile di metodi di facilitazione. Gli scopi di questi metodi possono essere diversi l’uno dall’altro, ma hanno degli elementi comuni nel favorire la collaborazione, la valorizzazione delle diversità, l’utilizzo del pieno potenziale di tutti i partecipanti.

Un altro elemento comune di tutti i metodi di facilitazione è la comunicazione empatica, che può essere definita come una comunicazione assertiva e rispettosa dei bisogni di tutti (Win – Win), sia di chi comunica sia di chi riceve la comunicazione .  In questo ambito uno dei metodi più efficaci ed utilizzati è quello della Comunicazione Non Violenta di Marshall Rosenberg .

Molto affascinante anche la teoria e l’esperienza alla base dei dialoghi di Bohm.  Bohm è stato uno dei più grandi teorici nell’ambito della fisica quantistica.  Egli riteneva che la fisica quantistica avesse aperto le porte ad una visione della realtà completamente diversa da quella della fisica classica e meccanicistica.  Alla luce di queste considerazioni riteneva che per risolvere i grandi problemi dell’umanità le persone dovessero imparare a dialogare e grazie ad un confronto di idee aperto ed alla sospensione delle proprie convinzioni, giungere a nuove idee creative ed utili per l’evoluzione.

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